Genomica della schizofrenia e sue implicazioni

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 21 ottobre 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Un nuovo articolo sulla genomica della schizofrenia, in pre-pubblicazione online da mercoledì e centrato su un’esaustiva rassegna degli studi più rilevanti, offre temi di discussione interessanti che non potevamo esimerci di proporre all’attenzione di quanti seguono questo settore della ricerca neuroscientifica e psichiatrica.

Recentemente, un’introduzione del nostro presidente alla genetica della schizofrenia[1] – alla quale faremo ampio riferimento in questo testo – ha proposto un estratto dei principali risultati della ricerca e delle nozioni paradigmatiche e consolidate necessarie ad approcciare questo campo di studi, evitando ogni riferimento ai dibattiti sulle questioni controverse, alle discussioni sui problemi metodologici e ai risultati non confermati della sperimentazione, perché il fine del testo era l’utilità e l’efficacia introduttiva e didattica. Ora, l’aspetto saliente della discussione proposta da Michael J. Owen e colleghi è costituito proprio dall’affrontare le tematiche emergenti dalla ricerca, anche in funzione del nuovo quadro teorico che sta emergendo, pur nella difficoltà di avere differenti vie possibili nell’interpretazione-deduzione dei dati.

Alla luce di questa considerazione, è utile aver presenti le principali nozioni citate nella rassegna di Owen e colleghi come nell’introduzione del nostro presidente.

Come si sottolinea nell’articolo citato: “Per la genetica della schizofrenia non è possibile proporre un sintetico elenco di risultati della ricerca senza far cenno ai criteri adottati negli studi, perché l’esatto rapporto che intercorre tra alterazioni geniche e sviluppo del disturbo clinico non si conosce ancora. E ciò è dovuto sia alla mancata definizione delle sequenze molecolari eziopatogenetiche, sia al fatto che percorsi molecolari differenti potrebbero portare allo stesso tipo di deficit e squilibri tra sistemi neuronici, che causano deliri, allucinazioni e sintomi cognitivi[2]. Non è un caso che Joseph Coyle, nel titolo di un suo approfondimento sulla genetica della schizofrenia, dichiari: ‘È complicata’[3][4].

La genetica studia variazioni rare o mutazioni e variazioni comuni o polimorfismi quali cause del fenotipo cerebrale all’origine della schizofrenia: questa distinzione è necessaria per comprendere le due diverse linee di ipotesi eziopatogenetiche seguite da molti ricercatori. Sia la genetica epidemiologica degli “alleli di rischio” sia i risultati degli studi genetici nelle famiglie sono interpretati in base a delle ipotesi in attesa di conferma sperimentale.

(Owen M. J., et al., Genomic findings in schizophrenia and their implications. Molecular Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41380-023-02293-8, Oct 18, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Centre of Neuropsychiatric Genetics and Genomics, Division of Psychological Medicine and Clinical Neurosciences, Cardiff University, Cardiff (Regno Unito).

Qui di seguito si riproduce parte del paragrafo su mutazioni e polimorfismi degli Appunti sulla genetica della schizofrenia:

Nella popolazione generale la probabilità o “rischio” di sviluppo della psicosi è stimata dell’1%, mentre la concordanza nei gemelli monozigoti, quando uno è affetto, è fissata dagli studi classici intorno al 60-65%[5], al 10% tra fratelli non gemelli e al 3% tra parenti di primo grado; ma recentemente questa stima è stata rivista e corretta, portando all’80% il ruolo dei geni nello sviluppo del quadro clinico[6]. L’importanza della base genetica è dunque fuori discussione ma, rimanendo una probabilità di almeno il 20% che non sviluppi la malattia psichica una persona con lo stesso patrimonio genico di uno schizofrenico, il ruolo dei fattori ambientali, intesi nel senso più estensivo possibile del termine, rimane di estremo interesse.

Gli studi recenti volti a determinare quali geni siano responsabili delle anomalie cerebrali osservate negli schizofrenici e a quali funzioni tali geni contribuiscano, sono stati condotti prevalentemente da consorzi internazionali di ricerca in grado di coprire uno spettro di indagine di decine di migliaia di pazienti e membri delle loro famiglie. È emerso che, sebbene i sintomi diacritici appaiano al più presto nella tarda adolescenza, molti dei geni associati alla schizofrenia sono attivi già nello sviluppo embrionale o fetale. Questo rilievo è coerente con la nozione della vulnerabilità intrauterina a fattori di rischio ambientale, le cui conseguenze si manifestano nella vita adulta.

Per la schizofrenia, come per l’autismo e il disturbo bipolare, la ricerca genetica distingue due categorie di varianza: variazioni rare e variazioni comuni. Le variazioni rare, che si rilevano in meno dell’1% della popolazione e spesso in una proporzione bassissima, prendono il nome di mutazioni. Le variazioni comuni sono apparse nel genoma umano molte generazioni fa, sono presenti in più dell’1% della popolazione generale e, in quanto si considerano forme possibili dello stesso gene, si chiamano polimorfismi. Entrambi i tipi di variazioni possono essere causa o concausa di malattia, e si ritiene che sia i polimorfismi che le mutazioni possano predisporre alla schizofrenia[7].

I meccanismi patologici delle varianti rare ci dicono che mutazioni rare accrescono enormemente il rischio di una persona di sviluppare un disturbo relativamente comune.

A questo punto è opportuno ricordare in cosa consistano le CNV (copy number variations): scolasticamente le CNV sono descritte come rare variazioni che modificano la struttura di un cromosoma attraverso l’aggiunta di uno o più geni (copy number duplication, ecc.) o attraverso la perdita (copy number deletion); la ricerca sulla genetica dei disturbi mentali ha rivelato che le CNV consistono in micro-inserzioni, micro-delezioni e trasposizioni nel genoma umano che variano in dimensioni da centinaia a milioni di coppie di basi del DNA[8]. Alcuni studi hanno rilevato che le CNV accrescono o riducono i geni di un cromosoma in un numero variabile da 20 a 30[9].

Nella schizofrenia, rare CNV del cromosoma 7 accrescono il rischio di sviluppare il disturbo, e sono le stesse CNV associate ad aumentato rischio di disturbi dello spettro dell’autismo (ASD). A questo proposito è particolarmente significativo il lavoro di Matthew State, che ha identificato un segmento del cromosoma 7 (7q11.23) di assoluta importanza: una copia in più accresce straordinariamente la probabilità di sviluppo di un ASD, mentre la sua assenza per delezione causa la sindrome di Williams[10].

Gli studi sulle CNV associate alla schizofrenia hanno individuato rare delezioni quali 1q21.1, 15q13.3 e 22q11.

Rare mutazioni de novo del DNA, ossia mutazioni spontanee che si verificano nella linea germinale maschile e possono essere trasmesse dal padre con gli spermatozoi, accrescono il rischio di schizofrenia, disturbo bipolare e ASD. Questo dato è particolarmente rilevante, in quanto le divisioni cellulari nella linea germinale maschile continuano per tutta la vita e, col procedere degli anni, cresce la frequenza di mutazioni, così che i padri anziani hanno una probabilità molto più alta di quelli giovani di avere figli affetti da schizofrenia, ASD o disturbo bipolare.

Prima di esporre in sintesi i risultati salienti della ricerca sulle variazioni comuni, mi sembra opportuno ricordare che inizialmente il lavoro sperimentale volto all’identificazione di geni associati alla psicosi si basava su strategie di associazione o linkage: ad esempio, in famiglie con numerosi membri affetti si sfruttava la correlazione tra il disturbo e marker allelici che si supponevano associati ai geni da scoprire (linkage analysis). Dopo il sequenziamento del genoma umano, è stato possibile condurre studi finalizzati a stabilire se vi fossero effettivamente “alleli di rischio” tra i geni codificanti proteine quali i recettori della dopamina e altri polipeptidi chiave nella trasmissione dopaminergica, in quegli anni ancora ritenuta dalla maggioranza al centro della patogenesi della schizofrenia. Un numero vertiginosamente crescente di analisi genetiche fu portato a termine nel giro di pochi anni, ma una meta-analisi di tutti questi studi identificò solo 4 potenziali associazioni “forti”, nessuna delle quali poteva essere messa in relazione con la segnalazione dopaminergica, e il gene sicuramente implicato codificava la subunità NR2B del recettore NMDA del glutammato.

Le variazioni comuni o polimorfismi all’origine del disturbo schizofrenico sono state indagate con numerosi studi GWAS, ma i risultati sono stati deludenti, forse con l’unica eccezione del gene ZNF804A, che codifica una proteina a dita di zinco[11].

Perché la ricerca di variazioni comuni associate significativamente alla psicosi ha dato esito negativo?

Non è facile trovare una risposta a questa domanda e, per il momento, dobbiamo accontentarci di un’ipotesi plausibile: la predisposizione potrebbe derivare da interazioni gene-gene e, per questo, i polimorfismi di singoli nucleotidi non risultano associati ad aumento della probabilità di malattia”[12].

Un’altra nozione importante è quella derivata da un caso genetico particolare poi assurto a paradigma di studio, ossia quella dei geni DISC1 (disruption in schizophrenia 1) e DISC2 (disruption in schizophrenia 2)[13], per il quale si rimanda al testo citato. È poi importante aver presente la genetica dell’eccessiva eliminazione sinaptica o, più probabilmente, dell’eccesso di anomalie che fanno aumentare l’eliminazione sinaptica fisiologica nel cervello schizofrenico; le scoperte degli ultimi 5-6 anni; i geni SMAD quali candidati biomarker della schizofrenia: per tutte queste nozioni si rinvia ancora alla lettura dell’articolo citato.

Torniamo allo studio qui recensito.

Michael J. Owen e colleghi registrano i notevoli progressi compiuti negli ultimi 15 anni nella comprensione della genetica della schizofrenia, in particolare quel complesso di dati sperimentali che ha rivelato una condizione altamente poligenica, con la maggior parte dell’ereditabilità spiegata da alleli comuni di minimo effetto, col contributo addizionale di rare varianti CNV (copy number variant) e CV (coding variant).

Osservano gli autori che sono stati implicati molti geni e loci specifici che forniscono solide basi su cui può procedere la ricerca che indaga i meccanismi molecolari della patogenesi. Questi geni e loci “sicuramente implicati” sono correlati a disturbi della fisiologia della cellula nervosa e, particolarmente, dell’attività delle sinapsi; alterazioni funzionali che non sono confinate a un numero ristretto di circuiti o ad aree circoscritte delle strutture anatomiche cerebrali.

I risultati delle indagini sul genoma hanno anche rivelato la natura biologica della stretta relazione fra schizofrenia e altri disturbi di interesse psichiatrico o neuroevolutivo: in particolare i rapporti esistenti col disturbo bipolare e i disturbi neuroevolutivi dell’età pediatrica, e segnatamente i disturbi dello spettro dell’autismo (ASD) nell’ambito dei disturbi pervasivi dello sviluppo cerebrale. Le nuove acquisizioni genetiche hanno anche consentito di spiegare come sia possibile che comuni alleli di rischio persistano nella popolazione a fronte di una ridotta fecondità.

Gli approcci genomici correnti spiegano potenzialmente solo il 40% circa dell’ereditabilità, ma solo una piccola proporzione di questa è attribuibile a quei loci che sono stati accertati con sicurezza attraverso numerose conferme da parte di gruppi e consorzi genetici diversi su grandi numeri e popolazioni differenti.

L’estrema poligenia pone difficili sfide alla ricerca che indaga i meccanismi neurobiologici. L’alto grado di pleiotropia rende necessario un maggiore sviluppo della ricerca in chiave trans-diagnostica e denuncia la carenza degli attuali criteri diagnostici quali mezzi per delineare strati biologicamente distinti[14]. Inoltre, pone sfide all’inferenza della causalità negli studi di osservazione e sperimentali, sia sull’uomo che sui modelli di malattia.

Michael J. Owen e colleghi mettono poi il dito nella piaga di una bias Eurocentrica negli studi di genomica della schizofrenia: è necessario, osservano, rettificare questa tendenza, in ultima analisi per massimizzare i benefici derivanti dalle scoperte e far sì che la ricerca ottenga migliori conoscenze e più efficaci approcci terapeutici per tutte le comunità che compongono il villaggio globale.

Ulteriori progressi si potranno avere con l’applicazione delle tecnologie nuove e di quelle emergenti, quali whole-genome e long-read sequencing a campioni differenti per popolazione e molto estesi. Progressi sostanziali nella conoscenza biologica della schizofrenia richiederanno un parallelo progredire della genomica funzionale e della proteomica, applicate al cervello in tutti i gradi di sviluppo, dallo stadio embrionario a quello senile. Affinché questo impegno sortisca gli effetti desiderati nell’identificare i meccanismi patologici e nel definire nuovi livelli di conoscenza, Michael J. Owen e colleghi sostengono che sarà necessario combinare la genetica con nuovi dati fenotipici, più specifici e di maggiore rilievo biologico.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-21 ottobre 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 23-09-23 Appunti di genetica della schizofrenia.

[2] In passato ho proposto di studiare sintomi come deliri e allucinazioni quali “schemi stereotipati di guasto” prodotti da cause diverse ma in grado di disturbare, sia pure in modo differente, quei processi di integrazione e sintesi neurofunzionale necessari al ragionamento e alla elaborazione percettiva.

[3] Joseph T. Coyle, It’s Complicated: The Genetics of Schizophrenia and Related Serious Mental Illnesses, in “The Neurochemistry of Schizophrenia”, in Brady, Siegel, Albers, Price (eds), Basic Neurochemistry – Principles of Molecular, Cellular and Medical Neurobiology, p. 1009, Elsevier AP, Int. Edition 2013.

[4] Note e Notizie 23-09-23 Appunti di genetica della schizofrenia.

[5] È del 60% la stima riportata dal citato approfondimento genetico di Coyle, poco superiore quella di alcuni degli studi di riferimento del DSM-5, mentre Eric Kandel riporta addirittura un 50% di concordanza tra gemelli monozigoti (Eric R. Kandel, The Disordered Mind, p. 98, Farrar, Straus and Giroux, New York 2018).

[6] Wolf A. et al., SMAD genes are up-regulated in brain and blood samples of individuals with schizophrenia. Journal of Neuroscience Research - Epub ahead of print doi: 10.1002/jnr.25188, Mar 28, 2023.

[7] Alcune variazioni sembrano avere un ruolo più determinante di altre, e il grado di certezza dell’associazione dei geni di rischio deve essere valutato caso per caso, vagliando criticamente i criteri adottati dai ricercatori alla luce delle nuove acquisizioni. In passato si è ritenuto che mutazioni e polimorfismi si escludessero a vicenda nella genetica della schizofrenia, ma oggi si ritiene che possano coesistere.

[8] Gershon E. S., et al., After GWAS: Searching for genetic risk for schizophrenia and bipolar disorder. The American Journal of Psychiatry 168, 253-256, 2011.

[9] Eric R. Kandel, The Disordered Mind, p. 46, Farrar, Straus and Giroux, New York 2018. Nei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD) sia l’aggiunta che la perdita aumentano il rischio.

[10] La sindrome di Williams è per molti tratti l’opposto dell’autismo: i bambini affetti sono molto socievoli, con buona competenza linguistica, con desiderio di interagire e comunicare anche con estranei, bravi nel riconoscere lo stato affettivo-emozionale dalle espressioni del viso, sensibili alla musica più della media, ma molto limitati nelle abilità visuo-spaziali e nel disegno.

[11] È questa la traduzione più frequente di zinc-finger protein, anche se si dovrebbe parlare di polipeptidi caratterizzati da un motivo “a dita con zinco” come precisa il dizionario Treccani. Il motivo contiene ripetizioni di residui di cisteina e istidina che legano ioni zinco e si ripiegano formando anse simili a dita che si legano al DNA. Il motivo “a dita con zinco” è presente nei recettori steroidei e in molti fattori di trascrizione (Sp1, ecc.).

[12] Note e Notizie 23-09-23 Appunti di genetica della schizofrenia.

[13] David St. Clair et al., Association within a Family of a Balanced Autosomal Translocation with Major Mental Illness. Lancet 336 (8706): 13-16, 1990. DISC2 è stato meno studiato perché non codifica una proteina e si ritiene intervenga nella regolazione di DISC1.

[14] Un problema che facciamo presente alla comunità psichiatrica dalla fondazione della nostra società scientifica.